Dallo studio “Gli immobili in Italia 2011”, a cura del Dipartimento delle Finanze e dell’Agenzia del Territorio, con la collaborazione della SOGEI, risulta che gli immobili di proprietà delle persone fisiche sono per il 23,8% abitazioni principali, per l’11,6% sono tenuti a disposizione, e solo per il 9,6% sono locati.
Lo studio si articola su cinque capitoli dedicati all’analisi degli utilizzi degli immobili, all’analisi dei redditi e della ricchezza, alla distribuzione territoriale del valore del patrimonio abitativo, alla distribuzione della proprietà e del reddito dei proprietari, ai canoni di locazione. Nell’ambito di queste analisi è stata effettuata anche la stima del valore del patrimonio residenziale che risulta, comprensivo delle pertinenze, pari a 6.335 miliardi.

Sugli immobili di proprietà dei soggetti diversi dalle persone fisiche i dati che è stato possibile elaborare mostrano che l’82% della proprietà di tali soggetti, misurata in termini di rendita catastale, si concentra in soggetti micro, piccoli e medi. Inoltre, circa il 49% di queste proprietà si rilevano per soggetti localizzati all’interno di distretti industriali.
Secondo Nomisma nel primo semestre dell’anno in corso la curva dei prezzi degli immobili mantiene un’inclinazione negativa. La strutturale rigidità dei prezzi degli immobili in Italia nella fase recessiva, che può essere interpretata come una inefficienza del nostro mercato nell’adattare i valori alla flessione e alla ricomposizione della domanda, è espressa dalle ultime variazioni semestrali dell’ordine del -0,6% per le abitazioni usate (-0,7% per le abitazioni nel complesso), del -0,9% per gli uffici e del -0,7% per i negozi.
Risale al secondo semestre del 2008 l’inversione di tendenza dei prezzi medi delle abitazioni nei 13 maggiori mercati italiani e, a distanza di 3 anni, il deprezzamento è stato del 7,3% in termini nominali e del 14% in termini reali. Nei segmenti degli immobili per l’impresa, uffici e negozi, l’inizio della fase di flessione dei prezzi è collocabile nel primo semestre del 2009 e, ad oggi, è stato accumulato un decremento rispettivamente del 6,5% e del 5,3% sui valori nominali (12% e 10% sui valori reali).
Nei segmenti direzionale e commerciale la contrazione dei valori immobiliari, che generalmente è risultata più marcata nelle prime location, è stata la conseguenza di una mancata attivazione della domanda attesa e di un contestuale processo di razionalizzazione da parte delle aziende, che non pare destinato a esaurirsi nel breve termine. In questo quadro di difficoltà di incontro tra un’offerta ingente e attendista e una domanda debole, lo sconto medio praticato sul prezzo richiesto ha subito modeste oscillazioni, posizionandosi in tutti i segmenti leggermente al di sotto dello sconto massimo registrato all’interno dell’attuale ciclo riflessivo, riconducibile al secondo semestre del 2009.
Per le abitazioni usate lo sconto è mediamente del 12%, per quelle nuove del 7%, per gli uffici del 13,3% e, infine, per i negozi del 12,4%. La fragilità dell’attuale quadro continua a essere confermata dall’ulteriore allungamento dei tempi di vendita e di locazione, nonché da segnali di relativo peggioramento nel grado di liquidità degli immobili, sia residenziali che d’impresa. Per le abitazioni nel complesso il tempo medio di vendita si attesta a 6,4 mesi, per gli uffici a 8,5 mesi e, infine, 7,6 mesi per i negozi.
Se i valori di mercato descrivono a tinte un po’ sfumate l’attuale ciclo recessivo del mercato immobiliare italiano, l’indicatore delle quantità scambiate è più eloquente: l’inclinazione della curva che esprime la linea di tendenza delle quantità transitate sul mercato è negativa e più accentuata per uffici e negozi, rispetto alle abitazioni.
Le compravendite di abitazioni si ridimensionano a partire dal 2007 e, in quattro anni, calano di oltre 250 mila unità (il 26,4% delle transazioni registrate nel 2008). Dopo che nel 2010 si era registrata una certa stabilità delle quantità transitate sul mercato, ci si attendeva il protrarsi di tale tendenza anche nel 2011. Ma già nel primo trimestre si è rilevato un nuovo calo in tutti i segmenti: complessivamente, le compravendite sono state poco meno di 300.000, il 3,6% in meno rispetto allo stesso periodo del 2010 (-3,7% per il residenziale, -4,4% per il terziario, -8,9% per il commerciale e -2,1% per il produttivo).
Per quanto riguarda il residenziale, la flessione registrata nel primo trimestre del 2011 dovrebbe essersi addirittura acuita nel secondo. La prospettiva di un nuovo minimo dei volumi di compravendita appare oggi pressoché certa, anche se una valutazione dell’entità del calo rispetto alle 611.878 transazioni del 2010 potrà essere fatta solo una volta che la situazione sui mercati finanziari si sarà stabilizzata.
Per l’anno in corso lo scenario base prevede un numero di scambi pari a 590.600 unità, mentre nello scenario pessimistico si arriva addirittura a quota 575.000 transazioni (con un calo nel secondo trimestre dell’anno del 6/7%). La criticità del contesto accentuerà la pressione ribassista sui prezzi, la cui capacità di tenuta non potrà non avere conseguenze sulle dinamiche generali del settore in termini di livelli di attività.
Se l’aggancio della ripresa globale e il ritorno a una situazione di ‘normalità allocativa’ da parte delle banche rappresentavano, fino a qualche mese fa, gli elementi che, in prospettiva, potevano favorire una graduale riduzione della distanza tra domanda e offerta, il quadro appare oggi meno favorevole. Nella definizione degli scenari futuri, sia sul versante corporate che su quello retail, l’offerta giocherà un ruolo tutt’altro che marginale.
Al di là dell’inevitabile adeguamento delle aspettative di ricavo alle mutate condizioni di mercato, sarà soprattutto l’elemento quantitativo ad avere un effetto decisivo nell’orientamento delle dinamiche di breve-medio periodo. L’ingente mole delle iniziative in fase di sviluppo o anche solo programmate, da una parte, e le garanzie immobiliari di crediti in default che le banche stanno faticosamente cercando di gestire dall’altra, rischiano, infatti, di concorrere ad alimentare un mercato incapace di garantire un adeguato assorbimento.
Alla luce della situazione delineata, la prospettiva di stagnazione che emerge dalle risultanze dei modelli econometrici (oltreché dall’analisi delle dinamiche delle crisi precedenti), rappresenta, ad oggi, la massima professione di ottimismo possibile
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