Così commenta il presidente della Confedilizia l’illusoria “via breve” della nuova tassazione:
Il prelievo fiscale trova il proprio limite costituzionale nella capacità di reddito del patrimonio”. È il (civile) principio stabilito dalla Corte costituzionale federale tedesca in una sentenza del 22 giugno 1995. Da noi, invece, il partito della patrimoniale (al quale tanti sembrano via via iscriversi come ad un cartello anti Berlusconi) vuole prescindere dall’elemento reddituale, per colpire esclusivamente la proprietà in quanto tale, quasi come misura punitiva dei valori (di indipendenza, anzitutto) che essa assicura.

Se estesa, in particolare, agli immobili (anche sotto l’arbitraria forma dell’aumento delle “rendite” catastali, illegittimamente – come ha già detto la nostra Corte costituzionale – basate oggi sui valori anziché sui redditi), la patrimoniale colpirebbe in molti casi beni che non producono alcun reddito, o che spesso producono costi e basta.
Ma un’altra grande iniquità – sempre se la patrimoniale dovesse essere istituita ed estesa agli immobili, come vorrebbero i redditieri che la propugnano, in una coi portatori di patrimoni mobiliari – sarebbe rappresentata dal fatto che essa colpirebbe beni che già patiscono un carico fiscale tra i più alti d’Europa (dati Ocse) e che andrebbe a carico, soprattutto, del medio ceto e del ceto minuto. Finirebbe, poi, per alimentare esclusivamente nuova spesa pubblica, come ovunque è avvenuto.
Ancora. La triplice imposizione sugli immobili (la patrimoniale si aggiungerebbe, infatti, alle imposte sui redditi ed all’Ici) avrebbe effetti devastanti sul piano psicologico, scoraggiando – al pari di ogni nuova forma di tassa – la fiducia degli investitori (come ha scritto in un lucido articolo il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi, L’Osservatore romano 27.8.’11).
Soprattutto, l’adozione di una misura straordinaria come una patrimoniale, iscriverebbe automaticamente il nostro Paese fra i PIGS. Il sarcastico acronimo (che gioca sull’equivoco della parola: pigs, com’è noto, significa in inglese maiali) verrebbe così, dopo l’istituzione di una patrimoniale, scritto con due I, così che l’Italia si aggiungerebbe ufficialmente come Paese “in pericolo” a Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna.
Né ci si può illudere che una misura come questa (tra l’altro, non prevista nel Programma nazionale di riforma inviato in Europa, e da questa approvato) sarebbe limitata “ai grandi patrimoni”. Prima di tutto, perché la storia del fiscalismo nei secoli prova che le imposte, anche concepite come di portata limitata, tendono sempre a dilatarsi e, soprattutto, a stabilizzarsi (l’Ici, del resto, non è nata – con l’odierno capofila dei patrimonialisti, Giuliano Amato – come imposta straordinaria?).
In secondo luogo, perché si è incaricata di chiarire cosa si intenda per “grandi patrimoniun’antesignana di questa imposizione, la segretaria generale della Cgil Susanna Camusso: “Questa imposta dovrebbe riguardare tutte le famiglie la cui ricchezza complessiva, mobiliare e immobiliare, superi gli 800mila euro l’anno al netto di mutui e delle altre passività finanziarie” (lancio Ansa 22.6.’11). Colpito, cioè, sarebbe in primis proprio il ceto dei soliti noti.
La verità è che quella della patrimoniale anche sugli immobili è – a parte ogni aspetto morale e sostanzialmente espropriativo (là dove si colpiscono beni improduttivi di redditi, o produttivi di redditi già totalmente assorbiti dalle imposte relative) – una suggestiva (e non sufficientemente pensata, in tutti i suoi risvolti ed effetti) “via breve” alla diminuzione del debito pubblico. Ma Luigi Einaudi – sappiamo bene – ha sempre combattuto le “vie brevi”, come dannose (in questo caso, per la crescita) e, comunque, come illusorie.

Commenti (1)

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