Immobili di interesse storico-artistico: il regime speciale ai fini dell’imposta sul reddito
Prima di parlare delle agevolazioni in oggetto, riteniamo opportuno ricordare che i proprietari di beni culturali sono sottoposti a obblighi precisi che riguardano la loro protezione e conservazione, con un particolare regime di autorizzazione per gli interventi di edilizia e restauro. La legge prevede anche alcune prescrizioni di tutela indiretta, per evitare che venga messa in pericolo l’integrità di beni culturali immobili e che ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o che ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro.

La legge ha previsto, quindi, una serie di agevolazioni per concedere un giusto sostegno economico ai proprietari di immobili di interesse storico-artistico, sanzionati in più casi anche penalmente con gravosi obblighi fiscali. Tra le agevolazioni, le ridotte aliquote ICI, le agevolazioni per i trasferimenti mortis causa o per le donazioni, fino all’esenzione da imposta delle polizze assicurative contratte per eventuali sinistri riguardanti i beni.
L’agevolazione fiscale stabilita a favore dei proprietari di beni culturali più importante, in termini economici, è quella in tema di tassazione IRPEF prevista dall’art. 11, comma 2, legge 30 dicembre 1991, n. 413, secondo cui “in ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell’art.3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 e successive modificazioni e integrazioni, è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato”.
Tuttavia la legge n. 413/1991 non specifica chiaramente se l’agevolazione riguardi solo l’utilizzazione diretta dell’immobile o anche le ipotesi di immobili dati in locazione e ogni altro caso di utilizzazione dell’immobile, per esempio per la produzione d’impresa.
In tal senso l’Amministrazione finanziaria ha subito adottato un’interpretazione particolarmente restrittiva della norma, sostenendo che l’agevolazione dovesse essere applicata nel solo caso di utilizzazione diretta dell’immobile culturale.
In tutti gli altri casi, invece, non vi sarebbe stato spazio per l’agevolazione e il reddito degli immobili culturali avrebbe dovuto quantificarsi ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo Unico delle imposte sui redditi) sulla base dei canoni effettivamente percepiti dal proprietario (circ. min. n. 7/E/1993, ribadita dalla successiva n. 154/E/1995).
La base imponibile del reddito di immobili culturali dati in locazione avrebbe dovuto, pertanto, essere costituita dal canone di locazione diminuito della percentuale forfettaria del quindici per cento, qualora superiore alla rendita catastale dell’immobile.
L’Amministrazione finanziaria attribuiva all’inciso “in ogni caso” il significato di “in ogni altro caso” supponendo un collegamento tra il comma 2 dell’art. 11 della legge n. 413/ 1991 e il comma 1 del medesimo art. 11, finalizzato in via generale alla determinazione del reddito imponibile “per fabbricati dati in locazione“, e ritenendo il comma 2 operativo in ogni altro caso in cui non si applica il comma 1, cioè “in caso di mancata locazione“.
Fonte: ilsole24ore

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