Iva. Di fronte all’evasione meglio non restare “immobili”

di Redazione Commenta

In caso di sottofatturazione, è responsabile in solido con il venditore anche l’acquirente che non agisce nell’esercizio di imprese, arti o professioni

Dal primo gennaio 2008, l’acquirente di immobili, la cui cessione è soggetta a Iva, che abbia ricevuto una fattura indicante un corrispettivo inferiore a quello effettivamente pattuito è obbligato in solido con l’alienante al versamento dell’imposta non dichiarata, anche se non agisce nell’esercizio di imprese, arti o professioni. L’omissione del versamento implica, inoltre, la sua responsabilità solidale al pagamento della sanzione irrogata al cedente. Quali le motivazioni che hanno portato all’introduzione di una norma così “forte”?
Occorre, allo scopo, partire necessariamente dalla “natura” del tributo.

L’Iva ha un meccanismo impositivo piuttosto complesso, derivante dalla necessità di riformare il precedente e principale istituto impositivo sui consumi, l’Ige (imposta generale sulle entrate), che notoriamente produceva effetti distorsivi sul sistema economico.
Quest’ultima, infatti, era un tributo plurifase sul valore pieno. Gravava su ogni trasferimento dei beni, sull’intero valore degli stessi e non limitatamente al valore aggiunto. Il meccanismo favoriva, pertanto, le attività integrate, ossia quei sistemi produttivi che realizzavano l’intero ciclo della produzione, dalle materie prime alla vendita al dettaglio.

Tale sistema rappresentava un deleterio deterrente alla specializzazione delle imprese e, in genere, del lavoro, che Adam Smith, già alla fine del XVIII secolo, individuava come il fondamentale strumento di sviluppo di un sistema economico. Per tali ragioni e per motivi d’armonizzazione con i sistemi tributari europei fu istituita, con la “riforma Vanoni”, l’imposta sul valore aggiunto, priva di questi effetti distorsivi.

L’Iva si caratterizza, però, per un procedimento piuttosto impervio, irto d’ostacoli e del rischio di sottrazione della materia imponibile, nonché di frodi volte a falcidiare il tributo incassato dall’Erario. Per evitare questi fenomeni, il legislatore ha previsto alcuni strumenti e imposto stringenti oneri in capo ai soggetti passivi del tributo. Gli oneri sono stati attribuiti, però, ai soggetti passivi e mai al consumatore finale, titolare della capacità contributiva.

Tra gli aspetti peculiari della disciplina dell’Iva vi è, infatti, la separazione della figura del responsabile giuridico degli adempimenti tributari da quella del titolare della capacità economica e dell’onere contributivo. Il responsabile giuridico, o soggetto passivo, coincidente con le figure di professionisti, artisti e imprenditori, ha storicamente avuto il compito di riscuotere l’imposta in capo al consumatore finale, di svolgere ogni compito formale e amministrativo e, per ultimo, ma non per importanza, di rispondere di errori e atti lesivi dell’interesse erariale.

Fin dall’istituzione del tributo, il legislatore gli ha, dunque, riconosciuto un ruolo di controllo sulla corretta applicazione dell’imposta da parte del cedente o commissionario. Ricevuta la fattura, ciascun soggetto passivo deve valutare se l’emittente abbia correttamente redatto il documento, verificando se i dati inseriti sono corrispondenti alla realtà, riguardo, in particolare, agli estremi identificativi delle parti, nonché agli elementi descrittivi della cessione o della prestazione.

Il soggetto passivo che riceve una fattura deve assicurarsi che siano stati correttamente indicati i corrispettivi, l’imponibile, l’aliquota, l’imposta, e che le eventuali norme agevolative, quali esenzioni, non imponibilità o esclusioni, siano state legittimamente utilizzate.

Con l’articolo 6, comma 8, del Dlgs 471/1997, che assoggetta il cessionario o committente al pagamento di una sanzione pari al 100% del tributo non esposto in fattura, con un minimo di 258,23 euro (in passato l’articolo 41 del Dpr 633/1972 duplicava oltre alla sanzione anche la responsabilità per il pagamento del tributo dovuto ma non risultante dalla fattura, gravando il destinatario della fattura di una duplice sanzione, una palese e l’altra “impropria”), il legislatore ha voluto ridurre i rischi di un’esazione molto insidiosa poiché delegata ai privati.

Di questi oneri così stringenti e particolarmente rischiosi, in termini di potenziali esborsi pecuniari, l’Erario ha esentato i consumatori finali, almeno nei primi anni dell’istituzione del tributo.

Nel 1980, per contrastare il malcostume dell’omissione dello scontrino fiscale, il legislatore introdusse una sanzione di modico valore anche a carico del cliente finale. Si trattava, tuttavia, di una pena pecuniaria non legata all’entità del corrispettivo evaso, prevista in misura variabile tra un limite minimo e uno massimo, applicata spesso in misura minima, che nel 2003, quando la norma fu abrogata, si risolveva spesso nel pagamento in modo agevolato di una somma di poco superiore a 12,50 euro. Il consumatore finale restava escluso dai più onerosi rischi derivanti dalle sanzioni, determinate in misura pari al 100% del tributo evaso, e non rispondeva nemmeno dell’imposta evasa. Il principio era, pertanto, quello di limitare l’obbligo del controllo soltanto ai soggetti passivi, ritenendo eccessivo affidare pari responsabilità ai consumatori finali, privi di strumenti e conoscenze adeguate a una puntuale valutazione del corretto adempimento.

Questo principio, con la Finanziaria 2008, ha subito una rilevante eccezione. All’articolo 60-bis del Dpr 633/72, è stato aggiunto il comma 3-bis, che, come visto all’inizio, stabilisce che “Qualora l’importo del corrispettivo indicato nell’atto di cessione avente ad oggetto un immobile e nella relativa fattura sia diverso da quello effettivo, il cessionario, anche se non agisce nell’esercizio di imprese, arti o professioni, è responsabile in solido con il cedente per il pagamento dell’imposta relativa alla differenza tra il corrispettivo effettivo e quello indicato, nonche’ della relativa sanzione”.

La norma si inserisce nel quadro di una complessiva strategia volta a limitare un malcostume molto diffuso: l’evasione nel settore immobiliare. Notevole è l’interesse che il legislatore tributario ha posto sul settore negli ultimi anni e ripetuti sono gli interventi normativi, ai quali si aggiunge la particolare attenzione dell’Amministrazione finanziaria, come facilmente rilevabile dalle ultime due circolari dell’agenzia delle Entrate, che forniscono gli indirizzi operativi sull’attività di controllo per gli anni 2007 e 2008 (circolari n. 6/2008 e n. 2/2007). E’ notorio il diffuso malcostume dell’evasione nei trasferimenti immobiliari. Proprio per contrastare questo fenomeno, è stato dunque violato uno dei principi taciti dell’Iva, l’intangibilità del consumatore finale.

La responsabilità del consumatore finale e quella del soggetto passivo
La nuova disposizione rappresenta un valido deterrente al citato fenomeno evasivo. La norma coinvolge qualunque cessionario d’immobili, sia esso un soggetto passivo dell’imposta o un contribuente privo di partita Iva.
Sui soggetti passivi, però, questa responsabilità si aggiunge a quella personale ed esclusiva per la sanzione di cui risponde qualunque titolare di partita Iva, in applicazione dell’articolo 6, comma 8, del Dlgs 471/1998, allorché acquisti nell’esercizio della propria attività.

Supponendo, pertanto, un’evasione di 10mila euro, a seguito di sottofatturazione nella compravendita di un immobile, l’acquirente non titolare di partita Iva rischia di dover pagare all’erario 20mila euro (oltre agli interessi), 10mila a titolo d’imposta e 10mila a titolo di sanzione, mentre l’acquirente che acquista nell’esercizio di un’attività soggetta all’imposta, rischia di dovere sborsare 30mila euro (oltre agli interessi), dovendo rispondere non solo della sanzione e dell’imposta in qualità di responsabile in solido con chi ha emesso la fattura, ma anche della sanzione irrogata a lui direttamente. Si osservi, peraltro, che le cifre appena indicate derivano dall’applicazione della sanzione minima del 100%, che in capo al cedente potrebbe anche essere irrogata in misura diversa, fino al 200% del tributo evaso.

Naturalmente, tranne che per la sanzione dovuta ai sensi dell’articolo 6, comma 8, del Dlgs 471/97, il cessionario, per la parte di cui risponde come responsabile in solido di un’obbligazione altrui, ha sempre la possibilità di agire in rivalsa contro il venditore. Si tratta, tuttavia, di una possibilità piuttosto remota di recupero di quanto pagato, giacché è molto probabile che il venditore sia già sfuggito al tentativo di recupero dell’Erario, che notoriamente ha mezzi d’esecuzione patrimoniale più efficaci, soprattutto a seguito delle ultime novità in materia.

I presupposti della responsabilità solidale
L’interpretazione letterale della norma subordina la responsabilità del cessionario a una duplice condizione, in virtù della quale il minore corrispettivo deve emergere contemporaneamente:
– dall’atto di cessione
– dalla fattura.

Tenuto conto che la norma è volta a tutelare l’adempimento per intero dell’imposta sul valore aggiunto, si deve avere riguardo, in particolare, all’ipotesi in cui l’atto riporti fedelmente il corrispettivo con cui è stato alienato il bene immobile, mentre la fattura sia emessa con un valore inferiore, ovvero, sia omessa integralmente. È un’ipotesi improbabile, ma non impossibile, soprattutto ove l’acquirente non sia un soggetto passivo Iva e, pertanto, concentri la sua attenzione soltanto sul rogito, disinteressandosi della fattura, che il venditore potrebbe non consegnare se emessa per un importo inferiore (per evitare che l’acquirente si accorga della differenza di valore), oltre che, ovviamente, se non emessa. Salvo un’interpretazione amministrativa o giurisprudenziale differente, in tale fattispecie la responsabilità solidale del cessionario non dovrebbe sussistere.

In fondo, la logica sottostante alla disposizione sembrerebbe essere legata all’obiettivo di tutelare il consumatore finale che, in tal modo, è responsabile solo ove anche nell’atto di cessione (che, come detto, tra i due documenti è quello su cui si concentra la sua attenzione) sia indicato un valore inferiore a quello reale, restando immune dal rischio della responsabilità solidale qualora l’importo ridotto sia contenuto solo nella fattura. In tale situazione, l’Erario, pur non potendo agire sul cessionario, salvo che per l’applicazione della sanzione in capo all’acquirente nell’esercizio d’impresa, arti o professioni, avrebbe la via spianata per recuperare l’evasione in capo all’impresa cedente, potendo provare l’infedele o l’omessa fatturazione ictu oculi in funzione del corrispettivo veritiero riportato sull’atto.

1 – continua

Baldassarre Gullo – Fiscooggi.it

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