Il cohousing, un nuovo concetto dell’ abitare

di Redazione Commenta

È uno stile di abitazione collaborativo per superare l’ emarginazione dell’ individuo nel quartiere, in cui nessun conosce bene il suo vicino e dove non si trova nessun senso di socialità.
Il cohousing è un concetto di abitare nuovo nel nostro Paese, ma già ampiamente diffuso negli Stati Uniti e nel centro – nord Europa (Olanda, Regno Unito e soprattutto in Danimarca, dove nasce intorno agli anni ’60).

Il cohousing consiste in una scelta preventiva e comune, da parte dei potenziali acquirenti, delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche ideali di una casa, con particolare attenzione allo stile di abitazione collettiva mediante lo sfruttamento di ampie zone condominiali da gestire in modo da soddisfare le esigenze di tutta la comunità. In tali spazi comuni si possono coltivare hobby e sport, ci si relaziona con gli altri vicini di casa, viene solitamente gestito uno spazio gioco per i bambini, ci si rilassa mediante un bagno in piscina, senza trascurare alcuni temi importanti quali la bioedilizia e l’ architettura sostenibile.

Per aderire a tale progetto il primo step è l’ iscrizione a pagamento ad un’ associazione o società di consulenza, che ha il duplice compito di reperire opportunità immobiliari valide sul mercato (ad esempio le riconversioni di ex stabilimenti industriali mediante la creazione di loft abitativi) e di proporre tali operazioni ai clienti e / o associati (gli esperti di tale realtà ci informano essere migliaia i nominativi dei potenziali acquirenti disponibili a valutare una soluzione cohousing). C’ è un tempo tecnico per aderire o meno alla proposta. In caso affermativo (impegnandosi nero su bianco ad acquistare l’ edificato), si potrà poi intervenire fattivamente sul progetto richiedendo che gli spazi comuni vengano adibiti in un modo piuttosto che in altro.

Compito essenziale del promotore dell’ iniziativa è poi quello di fare socializzare maggiormente i futuri condomini, di incentivare una politica basata sull’ utilizzo comunitario degli spazi per ottimizzare i costi di gestione di ciascuna abitazione. Spesso i cohousers dispongono di un mezzo di trasporto comune che costa sensibilmente meno di una seconda macchina per famiglia. Non è raro poi che la comunità gestisca la spesa in maniera collettiva e preveda pasti per tutti i residenti, e che una parte degli spazi condivisi venga utilizzato come palestra, asilo condominiale o lavanderia collettiva.

Secondo alcuni, il lato negativo del cohousing è dato dal rischio potenziale di eventuali liti fra vicini, soprattutto alla luce di una vita comune da gestire insieme, anno dopo anno. Secondo i sostenitori di tale corrente di pensiero, la convivenza tra chi ha figli e chi non ne ha è complicata anche dalla diversità dei metodi educativi, che potrebbero creare disagi ai genitori con prole, per non parlare delle differenze potenzialmente esistenti fra residenti giovani con età, orari e stili di vita differenti).

Di parere diametralmente opposto i difensori di tale modus vivendi, i quali affermano che l’ esperienza internazionale dimostra chiaramente come tale problematica sia nulla. A conferma di tale posizione, viene portata la comprovata esperienza dei paesi nordici, dove da decenni esistono tali condomini e dove addirittura esistono tutt’ oggi lunghe file d’ attesa per entrare a fare parte di realtà già esistenti di cohousing.

Tale stile di vita sta riscuotendo ampio successo nel mondo anche per rispondere a un disagio collettivo rappresentato dalla solitudine sociale, situazione molto evidente in una realtà come Milano, una città ideale per lavorare, ma dove è difficile coltivare rapporti sociali anche con gli stessi vicini di casa.

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