L’imposta è applicabile solo con l’ok del Comune in base alla qualificazione attribuita dallo strumento urbanistico generale adottato dall’Ente locale

Ancora novità sull’edificabilità dei terreni ai fini Ici: l’aliquota viene determinata dalla qualificazione attribuita dal piano regolatore generale adottato dal comune, indipendentemente dal fatto che venga o no approvato dalla regione e anche in assenza di piani attuativi. La Cassazione tributaria, nella sentenza 1861/2008, si è espressa a favore dei Comuni, ma di parere contrario potrebbe essere la Corte costituzionale, avanti alla quale pendono diverse ordinanze di commissioni tributarie sulla nozione di terreno edificabile ai fini fiscali, emesse dalla commissione tributaria del Lazio (in Gazzetta Ufficiale 18/2007 e 47/2007) e dalle commissioni provinciali di Piacenza e Ancona.

Si spera che la Consulta intervenga sul tema dell’imponibilità Ici delle aree edificabili, per chiarire il rapporto Fisco-contribuente, divenuto ormai una storia senza fine. I giudici tributari, infatti, non sono riusciti ancora a trovare a una soluzione univoca.
Ricordiamo che il piano regolatore generale è un atto a formazione progressiva che viene adottato dal consiglio comunale e successivamente approvato dalla regione: vale solo per le misure di salvaguardia più restrittive, mentre quelle più favorevoli sono temporaneamente prive di effetto; viene poi attuato da parte del Comune tramite i piani particolareggiati di esecuzione. A causa della difficoltà ad individuare il momento rilevante nell’applicazione dell’Ici, erano state incaricate della soluzione del problema le sezioni unite della Suprema corte. Ora, in base alla tesi formale-legalistica, la tassabilità di un terreno presuppone il suo immediato utilizzo a scopo edificatorio e quindi richiede l’approvazione dello strumento attuativo. In base all’indirizzo sostanzialistico, invece, basta che un’area sia edificabile in base agli strumenti urbanistici non ancora perfezionati per vedersi caricata dell’aliquota Ici.
I giudici, con la pronuncia 25506/2006, si erano pronunciati favorevolmente alla seconda soluzione, in quanto maggiormente aderente al principio di capacità contributiva, poiché il piano regolatore adottato costituisce un’entità già fiscalmente valutabile: la destinazione edificatoria rappresenta una qualità recepita dalla generalità dei consociati come compiutamente definita e difficilmente reversibile, facendo venire meno, ai fini tributari, ogni possibilità di diversa valutazione.
L’area qualificata edificabile in un piano adottato ha un proprio valore di mercato, al contrario dei terreni agricoli, e tale valore cresce fino a quando viene completato l’iter amministrativo.
Nel frattempo il legislatore, con due norme interpretative (rispettivamente Dl 203/2005 e 223/2006), aveva stabilito la tassabilità in base allo strumento urbanistico generale adottato. Entrambi gli interventi saranno sottoposti ad esame per la pronuncia della Cassazione tributaria.
Nonostante la convergenza della giurisprudenza di legittimità con le disposizioni interpretative, la commissione tributaria del Lazio ritiene anticostituzionale la formulazione legislativa: l’Ici è un’imposta patrimoniale che colpisce il possesso dei beni indipendentemente dal reddito prodotto e, di conseguenza, il valore imponibile si manifesta solo in caso di concreto utilizzo del bene, ossia con il rilascio della concessione edilizia o, al limite, quando sono definiti i parametri, quali il volume e la superficie, che rendono attuale e non soltanto potenziale il diritto di costruire.
La disposizione del decreto Bersani (Dl 223/2006) non ha pertanto avuto l’effetto di annullare il contenzioso; in attesa che la Consulta ricomponga la frattura tra giudici di legittimità e di merito, la prassi impositiva dei comuni non potrà fare altro che osservare il decreto legislativo.

di Anna Carbone – Attico Informa

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