Il tema ecologico in Italia da Assoedilizia

di Redazione Commenta

Trattando del tema ecologico (il tema del nostro presente e del nostro futuro), dobbiamo parlare di ambiente, di inquinamento ma anche di energia pulita, di risparmio energetico: materie tutte che hanno una stretta connessione tra loro e che pongono il nostro Paese alle strette su una molteplicità di fronti. L’Italia si sta occupando attivamente di tutte queste tematiche, ma lo fa in modo farraginoso e con un enorme costo sociale ed elevatissimi costi individuali. Probabilmente in questo conta anche il fatto di essere un paese ad alta densità demografico-edilizia (circa 80 famiglie e 180 unità edilizie per Kmq.- la famiglia è assunta come indicatore di nucleo di consumo energetico legato alla residenza; con ampie zone di congestionamento) ed un paese storico, nel senso che quasi il 30% del suo patrimonio strutturale ed infrastrutturale sul territorio risale a prima del 1940, ed il 50% ha più di cinquant’anni, mentre l’obsolescenza media degli edifici all’estero in Europa e negli USA è tra i 50 ed i 60 anni. Consideriamo l’elevatissimo costo energetico-ambientale per la nostra economia: I costi diretti ed indiretti connessi all’abbattimento dell’inquinamento soprattutto nell’area padana. Si pensi all’enorme dispendio derivante dagli interventi di adeguamento tecnologico (nel campo della mobilità e dei trasporti, nel campo delle strutture civili private e pubbliche); dalla perdita di capacità produttiva del sistema economico, connessa ai vari provvedimenti amministrativi di contenimento del fenomeno inquinamento (es. blocchi della circolazione stradale e quant’altro). Consideriamo la bolletta energetica per l’acquisto all’estero di energia elettrica e di idrocarburi. Noi acquistiamo ed importiamo dall’estero annualmente 100 milioni di tonnellate di petrolio,(46 MLD) 100 MLD di mc. di gas metano (13 MLD) nonchè 40.000 GWh (Gigawatt) di energia elettrica (4 Miliardi). Se aggiungiamo il debito verso l’U.E. per il saldo negativo derivante dall’applicazione del Protocollo di Kyoto che ammonta a circa 2,4 MLD di euro, troviamo che lo sbilanciamento complessivo dei conti dello Stato verso l’estero è di 65 miliardi, pari a quasi il 5% del PIL.

Non dimentichiamo le situazioni di malcostume italico, come quello ad esempio dello smaltimento dei rifiuti campani che costerà al Paese una cifra enorme per l’esportazione di 210 milioni di tonn. in Germania. Il problema in Italia è aggravato dal fatto che il nostro paese, con l’opzione antinucleare espressa con il referendum del 1987, ha sostanzialmente deciso di privilegiare il consumo energetico degli idrocarburi che significa due cose: maggior indebitamento per l’acquisto dell’energia e maggior inquinamento. Da noi l’energia elettrica (anch’essa deve essere in gran parte importata) ha assunto un costo elevatissimo, per gli usi sia domestici, sia industriali: sicchè il suo utilizzo, nella vita civile, è residuale. Ma, usando gli idrocarburi (gas, petrolio e derivati) si finisce peraltro ad inquinare dove l’energia è consumata, cioè nelle città dove funzionano milioni di motori, di impianti, di fornelli a gas, di caldaie e caldaiette, e dove è più difficile lo smaltimento dell’inquinamento. Non dove l’energia elettrica vien prodotta, le centrali collocate in aperta campagna, luogo in cui, ovviamente, lo smaltimento è più agevole. Conciliare dunque la produzione e l’uso dell’energia con l’esigenza di non inquinare, e ridurre comunque il consumo dell’energia ai fini sia ambientali, sia di bilancio pubblico, sono le grandi sfide che il nostro Paese ha di fronte negli anni futuri. E d’altronde l’Europa, con la proposta di Direttiva del 20, 20 e 20 (20% di riduzione di consumi energetici; 20% di aumento di energie rinnovabili; 20% di riduzione delle emissioni di gas serra, CO2), fortemente voluta dal Cancelliere tedesco Angela Merkel, l’U.E. non ci dà scampo. Sul piano della politica di settore quelle sfide si traducono in due obiettivi: produzione di energia pulita e, in parallelo, risparmio energetico a tutti i costi e su tutti i fronti. Sul fronte pubblico del sistema degli interventi collettivi, ed industriali, tenendo pure nel cassetto il progetto per il nucleare che andrà recuperato quanto prima, ci si muove sull’idroelettrico e sul termoelettrico, (energia elettrica da idrocarburi e combustibili fossili). Sul fronte misto pubblico privato degli interventi individuali i campi di azione sono: agro energia (coltivazione di piante per produrre energia es. benzina dal grano); bioedilizia (es. progetto Politecnico per le tegole fotovoltaiche); energia geotermica (es. pompe di calore); energia dalle biomasse; energia eolica; l’energia fotovoltaica energia solare termica e termodinamica. a) In questo quadro si cala dunque l’azione del nostro Stato, il quale è premuto dall’Unione Europea che, secondo una Direttiva della Commissione, ha stimato che il settore edilizio possa realizzare, nei prossimi 13 anni, rilevanti risparmi energetici dell’ordine del 27% per il settore residenziale e del 30% per il settore commerciale terziario. b) E l’Italia conformemente all’indicazione comunitaria, nell’estate scorsa ha presentato all’Unione un piano nazionale di interventi volti a realizzare questo obiettivo di efficienza energetica. Le Regioni dovranno adeguarvisi, pena il commissariamento. Il 23 gennaio scorso, peraltro, la Commissione Europea, che preme con una serie di scadenze, di fronte alle quali ogni inadempimento da parte degli Stati membri si risolve in pesanti oneri economici a favore del bilancio europeo,ha presentato un pacchetto di proposte (nell’ambito della riduzione delle emissioni a effetto serra e della promozione di fonti energetiche rinnovabili) assegnando a ciascuno degli Stati precisi compiti. L’U.E. preme lo Stato italiano, che preme a sua volta le regioni (dotate, in materia d’energia, di competenza legislativa concorrente) e mette alle strette il comparto immobiliare intervenendo a due livelli: mediante un irrigidimento normativo (certificazioni) e mediante una serie di incentivi (economici e procedimentali) per favorire gli interventi. Certificazione sicurezza. Lo Stato Italiano, con perfetta tempistica, (ma in modo scomposto e con il rischio di paralisi del sistema) con decreto del Ministero dello Sviluppo n. 37 in data 22 gennaio 2008 pubblicato sulla G.U. del 12 marzo 2008 ha dato un giro di vite a tutto il sistema della certificazione sull’impiantistica (settore nel quale sicurezza ed efficienza si sovrappongono, con rilevanti riflessi anche sul piano del risparmio energetico) degli edifici, introducendo pesanti sanzioni e, dal 27 marzo scorso, l’obbligo di allegazione della certificazione agli atti di trasferimento degli immobili ed ai contratti di locazione. Questa certificazione, nata all’insegna della sicurezza, avrà come effetto collaterale il risparmio energetico. Certificazione significa infatti controllo di funzionalità degli impianti elettrici ed a gas. Vuol dire messa a norma. Significa standardizzare i consumi e ridurre gli sprechi. E poi ci sono gli incastri normativi. In caso di sostituzione delle caldaie per il riscaldamento, scatta l’obbligo conseguente di dotare di una valvola termostatica tutti i termosifoni dei diversi alloggi del palazzo. E non siamo che all’inizio. Una vera escalation di costi, incombenze, oneri e vincoli. Certificazione energetica. Ma, tutta la materia della certificazione energetica (che è diversa da quella impiantistica) e degli interventi volti al risparmio energetico degli edifici merita un commento particolare. Il primo passo è quello di rendere obbligatoria una operazione di certificazione sull’efficienza degli edifici che risulta assai onerosa per il comparto immobiliare; una operazione apparentemente fine a se stessa, ma che come tale ovviamente non si giustificherebbe. La verità è che dopo il primo passo seguirà l’altro conseguenziale: si stabilirà (con un procedimento logico molto simile a quello adottato per l’Ecopass di Milano, che costringe a pagare gli autoveicoli maggiormente inquinanti) che gli edifici poco virtuosi sul piano energetico dovranno o adeguarsi allo standard medio di efficienza, o caricarsi fiscalmente dell’onere relativo alla scarsa virtuosità. La Regione Lombardia ha già istituito il Catasto delle certificazioni energetiche e la targa energetica (una specie di pagella) degli edifici. Allo stato dei fatti, la semplice certificazione prevista dalla legge, comporta, per la sola città di Milano un costo di 500 Milioni di euro (per il quale la legge non prevede agevolazioni fiscali di sorta). Immaginiamo quanto possa costare peraltro nell’Italia intera. Abbiamo calcolato circa 7 Miliardi di euro. Poi ci saranno i lavori di adeguamento. Questi, ammessi al beneficio della detraibilità, nella misura del 55%, daranno però luogo ad un incremento dei valori catastali, base impositiva di tutte le tasse che gravano sull’immobile: ICI, IRPEF, imposta di successione e sulle donazioni, imposte ipocatastali. Dulcis in fundo: anche in questo settore la Lombardia e Milano giocano il ruolo di prime della classe. Il Comune di Milano, solerte come al solito, stipula con Londra un accordo in cui si impegna ad essere più virtuosa del resto dell’Italia sul piano energetico: introduce l’Ecopass, limita le temperature e gli orari di erogazione del riscaldamento negli edifici, qualcuno ha persino proposto di bloccarla a giorni alterni, come si faceva con la circolazione delle autovetture. E la Lombardia, vieta l’uso dei camini a legna, stabilisce blocchi alla circolazione stradale, finanzia le auto ibride, anticipa, con una delibera di Giunta (un provvedimento di dubbia legittimità costituzionale in quanto, pur promanando da un organo non dotato di potere legislativo, incide sui diritti soggettivi dei cittadini) i termini per la redazione di tutte le certificazioni energetiche. incentivi economico fiscali e semplificazioni procedimentali. conomie a scala industriale, diseconomie a scala individuale e domestica. uanto al fotovoltaico credo occorra distinguere, per usare la massima chiarezza, l’investimento collettivo o di sistema l’investimento di tipo industriale dove il potenziamento di tale fonte rinnovabile trova la sua giustificazione anche sul piano economico, dall’investimento privato individuale. Da analisi e calcoli compiuti risulta che in quest’ultimo caso l’impianto personale domestico, non trovi alcuna giustificazione. C’è una sensibile sproporzione infatti, tra costi di intervento, strutture e installazione (tenuto conto anche del beneficio fiscale della detrazione del 55% in tre anni) di manutenzione e di gestione, data l’obsolescenza media dell’impianto nell’ordine di 10/15 anni ed il risparmio economico per il cittadino. L’ammortamento ed il costo di gestione stanno al risparmio in termini di 10 a 4. Ma lo Stato non si preoccupa del fatto che non ci sia proporzione, sul piano dei costi individuali, tra spese e benefici. Si spende 10 e si risparmia 4. Ciò che importa allo Stato è che, da un lato, il risparmio individuale di 4 equivale all’alleggerimento della bilancia dei pagamenti verso l’estero per acquisto di energia, e che la spesa di dieci significa prelievo dal risparmio individuale e immissione nell’economia produttiva, significa incremento della produttività di un settore e crescita economica del Paese. Certo è che questo duplice risultato è ottenuto a spese di una sola categoria di contribuenti: quella dei proprietari immobiliari. E dunque, ecco perchè si stabiliscono le norme fiscali di incentivazione. Le norme urbanistiche premiali che prevedono la non computabilità ai fini volumetrici di verande, serre e corpi annessi alle costruzioni, dotati di pannelli solari, (Legge Regione Lombardia 21/12(2004 n. 39 art. 4 IV comma) e di tutte le opere edilizie di recupero energetico comportanti aumento extra volume relativo a pareti e solai. Così il D.Lgs. in data 27.1.2008 del Consiglio dei Ministri ora all’esame della Conferenza Stato-Regioni e successivamente sottoposto al vaglio delle Commissioni parlamentari, decreto che elimina l’obbligo della DIA, in caso di installazione di pannelli solari, in conformità alla direttiva Comunitaria 2006/32/cc. Ma l’esito finale di questa politica mentre per lo Stato è quello di ridurre lo sbilanciamento finanziario con l’estero per il debito energetico, per il cittadino si traduce in un risparmio di consumi energetici, ma, al tempo stesso, in un aumento di costi generali per ottenere questo risparmio assolutamente non proporzionato al beneficio ottenuto. Ed in ciò risiede la distorsione di questo sistema che addossa prevalentemente ad una categoria di contribuenti, gli oneri ed i costi del risparmio energetico nazionale. Ma, a costo di questo grande sacrificio addossato alla proprietà immobiliare, sembra almeno, secondo la ricerca “Le leve per l’integrazione e la competitività dell’Europa” presentata a metà marzo scorso da Ambrosetti Club, ricerca che si basa soprattutto su alcuni indicatori legati ai problemi dell’energia e delle emissioni inquinanti, che l’Italia sia la nazione più efficiente fra quelle europee sul piano del perseguimento degli obiettivi ambientali. Auguriamoci che questa valutazione statistica non dipenda da un livello iniziale di virtuosità tanto basso, per cui anche un progresso anche ridotto in termini assoluti, diventa una performance significativa in termini relativi; un pò come succede, nella statistica della crescita economica dove un paese, passando da 1 a 2 cresce del 100%, ed invece, passando da 10 a 12, cresce solo del 20%. Resta aperto, comunque, il capitolo della virtuosità ambientale del nostro Paese, in rapporto alla tutela del territorio e delle sue risorse. Un capitolo tutto da esplorare, sull’approfondimento del quale occorre un apposito discorso.

Achilla Colombo clerici – www.assoedilizia.it

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