Mutuo sovrabbondante, nell’atto va indicato il corrispettivo effettivamente pattuito

di Redazione Commenta

Il contribuente potrà dimostrare che l’importo del finanziamento rilevante per determinare il valore normale dell’immobile è solo parte di quello risultante dall’operazione di credito. In sede di accertamento del valore normale della cessione di fabbricati, al contribuente è sempre data la possibilità di dare prova dell’effettivo ammontare del prezzo di vendita, a prescindere dall’operatività, nel caso concreto, di presunzioni in favore dell’Amministrazione finanziaria. In particolare, con la risoluzione n. 248/E del 17 giugno, i tecnici dell’Agenzia rispondono al quesito di un soggetto Iva che chiede quali siano le corrette modalità di fatturazione di un’operazione di vendita immobiliare nel caso in cui l’acquirente decida di finanziare la compravendita accendendo un mutuo di importo superiore al costo dell’immobile, ad esempio, per sostenere spese accessorie allo stesso. Con il decreto legge 223/2006 sono state, infatti, introdotte una serie di presunzioni legali relative, rilevanti tanto ai fini Iva che delle imposte sui redditi, con l’intento di contrastare il diffondersi di fenomeni evasivi realizzati mediante simulazione del prezzo di vendita degli immobili. In particolare, sono state previste presunzioni in favore dell’Amministrazione finanziaria che, per gli atti di cessione formati dal 4 luglio 2006, non è più tenuta a fornire prova diretta del fatto presunto, ossia del reale prezzo di vendita. Con l’inserimento di un nuovo periodo nel comma 3 dell’articolo 54 del Dpr 633/1972, è stabilito che, per le cessioni aventi a oggetto beni immobili e relative pertinenze, la prova dell’esistenza di operazioni imponibili per un ammontare superiore a quanto dichiarato o l’inesattezza delle operazioni che danno diritto alla detrazione “… si intende integrata anche se l’esistenza delle operazioni imponibili o l’inesattezza delle indicazioni di cui al secondo comma sono desunte sulla base del valore normale dei predetti beni, determinato ai sensi dell’articolo 14 del presente decreto”.

In forza di tale disposizione, gli uffici – relativamente alle operazioni aventi a oggetto la cessione di beni immobili e relative pertinenze – possono rettificare direttamente la dichiarazione annuale Iva quando il corrispettivo della cessione medesima sia dichiarato in misura inferiore al “valore normale” del bene determinato, ai sensi dell’articolo 14 del Dpr 633/1972, come il “prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi” (cfr. circolare 28/2006). Il legislatore ha operato in tal senso anche ai fini delle imposte sui redditi, introducendo una disposizione analoga a quella sopra riportata nell’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973, con cui è stato attribuito agli uffici finanziari il potere di rettificare direttamente il reddito d’impresa in base al “valore normale” dei beni immobili ceduti quando tale valore, determinato ai sensi dell’articolo 9 del Tuir, risulti superiore al corrispettivo dichiarato.

Per ciò che in tale sede maggiormente rileva, in sede di conversione del Dl 223/2006, è stato introdotto uno specifico criterio di determinazione del valore normale ai fini Iva nella cessione dei beni immobili basato sull’ammontare del finanziamento. L’articolo 35, comma 23-bis, del Dl 223 ha infatti previsto che “per i trasferimenti immobiliari soggetti ad IVA finanziati mediante mutui fondiari o finanziamenti bancari, ai fini delle disposizioni di cui all’articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, terzo comma, ultimo periodo il valore normale non può essere inferiore all’ammontare del mutuo o finanziamento erogato”.

I dubbi generati dalla richiamata normativa sono legati alla possibilità che, in sede di accertamento, l’ufficio possa rettificare la dichiarazione Iva del cedente, recuperando i maggiori ricavi in capo allo stesso anche ai fini delle imposte dirette, ogni qual volta l’acquirente accenda un finanziamento superiore al costo dell’immobile. I tecnici dell’agenzia delle Entrate, già con la risoluzione 122/2007, hanno affrontato un caso analogo in cui, alla cessione di un immobile da parte di una soggetto Iva, faceva seguito la stipulazione da parte dell’acquirente di un contratto di mutuo bancario per un importo superiore al corrispettivo dichiarato in atto, dal quale risultava esplicitamente l’ammontare delle somme destinate a lavori di ristrutturazione dell’immobile. In quell’occasione è stato chiarito che, se il finanziamento non è interamente destinato a sostenere l’acquisto dell’immobile, il contribuente è ammesso a fornire prova contraria, dimostrando che l’ammontare del finanziamento rilevante ai fini della determinazione del valore normale è solo parte di quello risultante dall’operazione di credito. In altri termini, nonostante l’entità minima del valore normale dei trasferimenti immobiliari soggetti a Iva (sostenuti mediante finanziamenti bancari) risulti legislativamente determinato, non si assiste a un’equiparazione assoluta tra importo del finanziamento e valore della cessione, destinata a valere indipendentemente dai generali criteri fissati dal decreto Iva per la determinazione del valore normale. Pertanto, nell’attività di accertamento, l’Amministrazione non è vincolata dal criterio dell’importo del finanziamento ogni qual volta il valore normale della cessione risulti superiore all’ammontare dell’operazione di credito. Del resto, tale impostazione appare coerente con la finalità perseguita dal legislatore mediante l’introduzione di tali presunzioni, che è quella di determinare l’effettivo corrispettivo pattuito dalle parti per la cessione dell’immobile e ne deriva, altresì, che, in sede di accertamento, il cedente può fornire prova contraria che il maggior importo del finanziamento ottenuto non è finalizzato all’acquisto dell’immobile ma al sostenimento di spese diverse.

Anche nella risoluzione in esame viene affrontato il caso, analogo, di una cessione immobiliare finanziata da mutuo fondiario o finanziamento bancario di importo superiore al corrispettivo di vendita che, nel caso specifico, reca con sé il dubbio sulle corrette modalità con cui tale operazione deve essere fatturata. In particolare, un soggetto Iva che, nell’esercizio della propria attività, effettua una cessione immobiliare in relazione alla quale il cessionario accenda un mutuo per un importo superiore, per quali importi è tenuto a emettere fattura?
Poiché, in forza della presunzione, l’Amministrazione è legittimata a ritenere che il corrispettivo pattuito tra le parti per la cessione è pari all’ammontare del finanziamento, il cedente è tenuto a fatturare direttamente l’importo corrispondente al finanziamento?

Con la risoluzione 248/2008, l’Amministrazione nega la validità di tale ricostruzione alla luce di quanto già chiarito con circolare 11/2007, e, dunque, in base a ciò, che le presunzioni introdotte con il Dl 223/2006 non hanno modificato il profilo sostanziale dei singoli ambiti impositivi, con la conseguenza che devono ritenersi immutati i criteri di determinazione della base imponibile Iva, nonché di determinazione dei ricavi ai fini delle imposte sui redditi.
Non può, pertanto, ritenersi fiscalmente corretto il comportamento del cedente che fatturi importi in misura superiore a quella dichiarata nell’atto di compravendita (e corrispondente all’effettivo importo pattuito tra le parti) solo per inibire il potere di rettifica dell’ufficio.
Le stesse considerazioni valgono anche con riferimento alle imposte dirette, per cui il ricavo della cessione sarà determinato, ai sensi dell’articolo 85 del Tuir, sulla base del corrispettivo della cessione del bene alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa che, evidentemente, coinciderà con l’importo indicato in fattura.

Per concludere, se il cessionario stipula un contratto di mutuo bancario per un importo superiore al corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita al fine di sostenere anche altre spese relative all’acquisto dell’immobile, coerentemente con la natura di presunzione legale relativa dei richiamati commi 2, 3 e 23-bis, in sede di accertamento è sempre possibile fornire prova che l’ammontare del finanziamento rilevante per la determinazione del valore normale è solo parte di quello risultante dall’operazione di credito. Va da sé che nel contratto di mutuo deve essere specificato che parte della somma mutuata non è destinata a sostenere l’acquisto dell’immobile, e, per vincere la presunzione sarà necessario fornire, inoltre, prova documentale della diversa destinazione del predetto ammontare, con conseguente onere delle parti di conservare adeguata documentazione. Pertanto, il cedente è tenuto a indicare nell’atto di compravendita dell’immobile il corrispettivo effettivamente pattuito con il cessionario e ad assolvere l’Iva sulla base dell’ammontare complessivo degli stessi corrispettivi, secondo le condizioni contrattuali.

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