Prospettive del disagio e valutazioni delle politiche abitative a Bologna

di Redazione Commenta

Il quadro sul disagio abitativo è destinato a peggiorare ulteriormente nel corso dei prossimi mesi: se, da un lato, la soglia di reddito dichiarato tenderà a ridursi secondo la dinamica del prodotto interno lordo (-5% nel 2009), dall’ altro è ragionevole ipotizzare che la pressione esercitata dalla domanda esclusa dal mercato della compravendita impedirà un’ analoga dinamica ribassista dei canoni di locazione, ampliando la fascia a rischio.

La tendenza ribassista delle quotazioni immobiliari in atto, seppure ancora tutto sommato contenuta, può rappresentare un elemento di salvaguardia del sistema sociale, ma è necessario ricreare le condizioni per un consistente flusso di investimenti privati verso il mercato dell’ affitto, al fine di allargare l’ offerta di alloggi in locazione, affiancando alla disponibilità attuale, costituita dagli immobili delle famiglie che investono direttamente e da quelli pubblici, quella dei nuovi investitori istituzionali. Tutto ciò, però, potrà avvenire in un orizzonte temporale quantomeno di medio periodo.

A livello locale, risposte senz’ altro più immediate rispetto ai tempi di attuazione del Piano Casa potranno arrivare dalle nuove opportunità offerte al Comune di Bologna dalla nuova legge urbanistica regionale (n. 6 / 2009), con cui si introduce una nuova normativa in materia di Edilizia Residenziale Sociale che favorisce il concorso dei soggetti privati. Nell’ ambito di un rafforzamento delle azioni di contenimento del disagio si inserisce, innanzitutto, un utilizzo mirato delle risorse pubbliche disponibili.

Dall’ esame dei principali strumenti pubblici (Fondo sociale per l’ affitto e alloggi ERP) emerge, infatti, l’ esiguità delle risorse utilizzabili in rapporto alle domande presentate. Senza prendere in considerazione la possibilità di aumentare, nell’ immediato, la dotazione economica ed immobiliare a cui attingere, si impone di circoscriverne l’ attribuzione alle fasce di disagio più acuto.

Se per quanto riguarda il fondo sociale per l’ affitto, l’ ammissione allo strumento di un numero eccessivo di famiglie rispetto alle reali disponibilità comporta una parcellizzazione dei contributi che finisce per penalizzare maggiormente le situazioni più disagiate, per quanto concerne l’ occupazione di alloggi ERP i criteri economici che oggi presidiano assegnazioni e permanenze rischia di alimentare il paradosso di situazioni corrette dal punto di vista formale, ma non sempre opportune da quello sostanziale.

Se in fase di assegnazione i requisiti economici tutt’ altro che stringenti contemplati nella normativa delegano, di fatto, la selezione all’ Ente che si occupa del vaglio delle richieste, nella valutazione delle permanenze non sono previste, al momento, iniziative comparative con la situazione delle famiglie ancora in lista di attesa. Una ridefinizione dei parametri economici che disciplinano l’ accesso alle risorse pubbliche risulta, alla luce della crescente diffusione dei fenomeni di marginalità sociale, improcrastinabile.

Ad essa si deve accompagnare un innalzamento del livello generale di efficienza dei meccanismi di controllo e verifica delle condizioni della domanda attuale e potenziale, valutando l’ ipotesi di avvalersi anche di contributi esterni per le attività di formazione e gestione delle graduatorie, oltreché di valutazione dell’ efficacia delle politiche abitative, finalizzate a supportare il Comune nella definizione di un piano di priorità. In particolare, il problema della valutazione del bisogno è cruciale per l’ orientamento delle politiche di welfare. Il compito del Comune è, infatti, quello di individuare le priorità di intervento, una volta effettuata un’ attenta lettura dei bisogni.

L’ accresciuta complessità della domanda di edilizia sociale impone la messa in campo di risposte sempre più differenziate, nonché l’ implementazione di un sistema di costante monitoraggio delle famiglie potenzialmente interessate a fruire di servizi alloggiativi (composizione, caratteristiche, reddito, stile di vita, ecc.), che consenta di adattare prontamente i criteri di selezione e contribuisca a definire gli strumenti di sostegno della domanda insoddisfatta.

La maggiore selettività raccomandata nella gestione degli strumenti pubblici comporta, inevitabilmente, l’ ampliamento della fascia di esclusione che, alla luce del confronto tra capacità reddituali e valori di mercato, deve essere a pieno titolo considerata in una situazione di disagio abitativo. Ipotizzando una soglia di reddito che consenta la sostenibilità degli attuali canoni di mercato fissata a Bologna in 25.291 euro annui, è possibile individuare circa 35 mila famiglie residenti che devono aver accesso, ovviamente in misura diversa, a forme di sostegno abitativo.

Se per la fascia di reddito che si colloca al di sotto dei 15 mila euro annui (pari al 50,5% delle famiglie) è necessario ipotizzare una copertura pressoché integrale con strumenti di carattere pubblico, per quella che si colloca tra 15 mila euro e la soglia sopra definita (pari al 49,5%) si deve necessariamente fare ricorso ad iniziative concertate, che vedono nei contratti a canone concordato l’ unica opzione in grado di avere un impatto rilevante.

La diffusione ancora parziale di tale strumento deve, tuttavia, spingere ad una riflessione sugli eventuali margini di affinamento del quadro normativo. L’ equilibrio faticosamente definito con l’ accordo del 2008 tra Comune e Associazioni se per la domanda costituisce un’ importante opportunità per ridurre in misura significativa l’ incidenza del costo dell’ abitare sul reddito, per l’ offerta non sembra invece presentare analoghi motivi di interesse.

A tal proposito, la previsione, oltre ai necessari sforzi di sensibilizzazione e semplificazione burocratica, di un ulteriore innalzamento del livello dei canoni (l’ adeguamento dell’ 8% rispetto a valori del 2003 contenuto nell’ Accordo pare, invero, poco rappresentativo delle effettive dinamiche), associato ad un lieve incremento degli sgravi in favore dell’ inquilinato, potrebbe rappresentare un elemento incentivante per l’ offerta che, altrimenti, rischierebbe di continuare a manifestarsi piuttosto tiepida.

La revisione dei parametri rappresenta, tuttavia, solo uno degli aspetti su cui intervenire per favorire la diffusione dell’ unico strumento che, nell’ immediato, pare in grado di dare risposte, ancorché parziali, commisurate all’ entità del fabbisogno. Un ruolo centrale nella strategia da mettere in campo deve essere, ancora una volta, riconosciuto al contrasto all’ evasione fiscale, che si stima continui ad avere un peso decisamente rilevante, soprattutto in corrispondenza della componente universitaria.

Tenendo conto di tutte le forme di elusione (assenza di contratto o di registrazione, sottodimensionamento dei canoni riportati rispetto a quelli effettivamente percepiti, mancata segnalazione dei redditi in dichiarazione, ecc.), è possibile stimare in circa 10 – 12 mila locazioni a canone di mercato che a Bologna presentano sostanziali elementi di non conformità alla normativa.

Il contrasto dell’ evasione, peraltro già intensificatosi negli ultimi anni, potrebbe contribuire all’ ampliamento dell’ offerta a canone concordato, anche attraverso l’ emersione dell’ effettiva base imponibile dei proprietari (riducendo, in tal modo, l’ entità dell’ eventuale incapienza fiscale). Come si è, infatti, dimostrato, la maggiore convenienza dell’ opzione concertata al crescere del reddito dichiarato dal locatore consente di ipotizzare che l’ efficacia dei controlli, unitamente alla ridefinizione dell’ equilibrio normativo, possa effettivamente concorrere al progressivo ampliamento dell’ offerta.

Un approccio unicamente normativo al problema, rappresentato dall’ introduzione della cosiddetta cedolare secca, oggi nuovamente in discussione, rischierebbe di non rappresentare uno stimolo sufficiente a garantire l’ emersione di consolidate pratiche evasive (oltre ad avere effetti redistributivi regressivi, in ragione di incentivi maggiori al crescere del reddito).

Per contro, la previsione, limitatamente ai contratti a canone concordato, di un’ aliquota al 20% per i proprietari e di un consistente innalzamento della detrazione a favore degli inquilini (fino al 19% del canone corrisposto), darebbe indubbio slancio alla diffusione di tale tipologia contrattuale. La sperimentazione che il legislatore sembrerebbe intenzionato a promuovere potrebbe, dunque, garantire maggiori risultati come strumento di contenimento del disagio abitativo, che non di ampliamento dell’ offerta e contrasto all’ evasione, con un inevitabile aggravio in termini di gettito rispetto alle attuali previsioni.

I costi immediati della riforma risulterebbero addirittura ben più ingenti (superiori a 2 miliardi di Euro), nel caso in cui non si optasse per una gradualizzazione della misura in base ai redditi o non si circoscrivesse l’ ambito di applicazione al solo canale concordato. Tale opzione, oltre alle ricadute di natura economica, comporterebbe un’ ulteriore riduzione dell’ interesse dei proprietari per l’ unica formula contrattuale in grado di ridurre le difficoltà delle famiglie.

Lo strumento del canone concordato, pur garantendo effetti indubbiamente positivi in termini di sostenibilità, non pare comunque di per sé in grado, specie per le fasce di reddito medio – basse, di far fronte alla reale entità del disagio. A tal proposito, risulta imprescindibile il riferimento alla complementarietà tra politiche abitative e politiche di inclusione sociale. Se, infatti, dal punto di vista degli interventi di sostegno mirato le opportunità immediate paiono invero piuttosto modeste, non altrettanto si può affermare con riferimento ad azioni di supporto di carattere più generale.

La previsione di ulteriori sgravi fiscali, la riduzione degli oneri tariffari relativi ai servizi pubblici locali, l’ introduzione di agevolazioni a talune forme di consumo, rappresentano alcune degli interventi attivabili per limitare la portata del disagio, di cui l’ aspetto abitativo rappresenta solo una delle espressioni. L’ adozione di qualsivoglia iniziativa non deve, tuttavia, prescindere da una preliminare verifica di abitudini e stili di vita dei potenziali fruitori.

Riferimenti
Luca Dondi
051.6483310 – 346.5027430
[email protected]

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