La rendita catastale è la rendita media ordinaria ritraibile da un fabbricato, previa detrazione delle spese di riparazione, di quelle di manutenzione e di ogni altra spesa e perdita eventuale, escluse le imposte.
Ogni particella catastale (quindi, ogni fabbricato avente caratteristiche architettoniche o costruttive proprie) reca anche l’indicazione della rendita. Stesso discorso vale per le particelle catastali relative ai terreni (ove la particella rappresenta una porzione continua di terreno, della stessa qualità o classe o con la stessa destinazione), che recano l’indicazione del reddito dominicale (relativo alla proprietà) e del reddito agrario (relativo, invece, al capitale di esercizio).
Ma né rendita né reddito – nonostante l’acritica situazione in essere – possono servire a misurare il beneficio che un fabbricato o un terreno ritrae dall’opera di un Consorzio di bonifica (a misurare, cioè, l’aumento di valore – per quanto ha stabilito la Cassazione – che un immobile deve ritrarre, per essere soggetto a contribuzione, da un’opera di bonifica). E neppure il fatto che la normativa catastale preveda che i Consorzi si dotino di un catasto (delle proprietà beneficiate) può all’evidenza – e paradossalmente, come pure si sostiene – legittimare l’assunzione della rendita (o del reddito) a misura del beneficio consortile.
Il problema è stato recentemente affrontato, con specifico riferimento ai fabbricati, anche dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza, che – uniformandosi ad una decisione della Commissione di Pisa – ha stabilito il principio che “il contributo consortile dovuto non può essere calcolato con riferimento alla rendita catastale, dovendo invece essere determinato in funzione dell’effettivo beneficio conseguito”.
Principio importante perché i Consorzi sono invece soliti “tassare” i loro coatti contribuenti con il criterio (illogico), come sottolineato, della rendita catastale, quasi che un appartamento di classamento signorile – per fare un esempio – fosse beneficiato (ammesso che lo sia…) più di uno classato civile. Non solo: lavori effettuati dal proprietario, tali da modificare il classamento del bene, finiscono – col criterio che i Consorzi seguono – per provocare un aumento del contributo consortile.
Assurdi ai quali i giudici tributari si sono ribellati, allineandosi alla giurisprudenza amministrativa, che si è nello stesso senso costantemente pronunciata. Le relative decisioni (Tar Abruzzo, Tar Toscana, Tar Umbria e Tar Veneto) sono tutte riportate nelle pubblicazioni della Confedilizia edizioni in materia, consultabili presso le Associazioni territoriali aderenti all’organizzazione della proprietà edilizia.
Corrado Sforza Fogliani
presidente Confedilizia