La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 4863/2010, è ritornata ad occuparsi dei cosiddetti ”contratti preliminari ad effetti anticipati”

Come è noto tali contratti, nel settore della compravendita immobiliare, si sono sempre più diffusi in quanto rispecchiano, da un lato, l’esigenza del costruttore/venditore di ottenere l’immediata disponibilità di tutto (o in parte) l’importo pattuito, e, dall’altro, la necessità per il promissario acquirente di ottenere subito la disponibilità del bene per poterlo abitare, ancor prima della stipula del contratto definitivo di trasferimento della proprietà.

Tra l’altro, va osservato che non sempre è il costruttore/venditore che ”impone” questa soluzione, in quanto può verificarsi che sia proprio, al contrario, il promissario acquirente a richiedere che la stipula dell’atto notarile avvenga solo in presenza di una definitiva liberazione dell’immobile da iscrizioni pregiudizievoli (ad es. di un’ipoteca da cancellare) e/o solo a fronte dell’avvenuto rilascio del certificato di abitabilità del fabbricato da parte del Comune.

Peraltro tale prassi contrattuale ha comportato il sorgere di alcuni gravi problemi che consistono soprattutto nel rilevante rischio di insolvenza del costruttore/venditore che corre il promissario acquirente, in tutto il periodo di tempo che intercorre dal pagamento del saldo prezzo sino alla stipula dell’atto notarile.

Sussistono, inoltre, altre questioni più prettamente giuridiche che la giurisprudenza è stata più volte chiamata ad affrontare e risolvere. In particolare la giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto modo di affermare che sebbene si sia già provveduto al pagamento del prezzo ed alla consegna della cosa il contratto stipulato dalle parti continua a mantenere le caratteristiche proprie di un contratto preliminare di compravendita, seppur ad effetti anticipati, con l’ulteriore conseguenza che sarà sempre e soltanto il rogito notarile a determinare l‘effetto traslativo della proprietà.

Venendo all’esame della fattispecie sottoposta al giudizio della Suprema Corte con la citata sentenza n. 4863/2010 (a prescindere da alcuni aspetti di natura fallimentare che ai nostri fini qui non rilevano), la promissaria acquirente di un appartamento e di un negozio costruiti da una società immobiliare, poi dichiarata fallita, aveva sostenuto di essere ”divenuta proprietaria automaticamente, in virtù del precedente contratto da lei stipulato – da qualificare come vendita obbligatoria di cose future e non come preliminare di compravendita – una volta ultimata la loro edificazione, o, alternativamente, a titolo originario per usucapione da possesso ultraventennale”.

I Giudici di primo grado, in accoglimento della domanda formulata dalla promissaria acquirente, dichiaravano l’avvenuta usucapione degli immobili e la Corte d’Appello confermava tale sentenza di primo grado rigettando il gravame. In sede di ricorso avanti la Corte di Cassazione (a prescindere da altri motivi che in questa sede non rilevano) veniva, in particolare, dedotta ”la violazione degli articoli 1158 e ss., 1166, 2941, 2942 c.c. e la carenza di motivazione in ordine all’accertamento per l’acquisto dell’usucapione non essendo stata fornita la prova del possesso in forza del contratto preliminare, né dell’animus possidendi in capo alla promissaria acquirente”.

Elementi comunque incompatibili entrambi con la natura obbligatoria e non reale del diritto costituito a favore di quest’ultima. La Suprema Corte ha ritenuto di accogliere tale motivo di ricorso: ”Laddove denunzia, in punto di diritto, l’insussistenza del possesso utile all‘acquisto per usucapione, non identificabile con la detenzione degli immobili attribuita con il contratto stipulato in data (OMISSIS), qualificato concordemente dei giudici di merito come preliminare di compravendita. Nella promessa di vendita, infatti, quando venga convenuta la consegna del bene prima del perfezionamento del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità in tal modo conseguita dal promissario acquirente ha mera natura di detenzione, sia pur qualificata, collegata ad un contratto con effetti obbligatori, costitutivo di reciproci diritti di credito ad un fare (prestazione del successivo consenso); e non di possesso utile ”ad usucapionem”: salva la dimostrazione di una sopraggiunta ”interversio possessionis” nei modi di cui all’art. 1141 c.c., comma 2 (Corte di Cassazione, sez. unite, 27 marzo 2008, n. 7930)”.

Con la citata sentenza n. 7930/2008 le Sezioni Unite avevano già correttamente ribadito: ”che la materiale disponibilità della res nella quale il promissario acquirente viene immesso, in esecuzione del contratto di comodato, ha natura di detenzione qualificata esercitata nel proprio interesse ma ”alieno nomine” e non di possesso. Possesso che il promissario acquirente può, dunque, opporre al promittente venditore solo nei modi previsti dall’art. 1141 c.c., in particolare assumendo e dimostrando un’intervenuta ”interversio possessionis”.

Questa, come ha correttamente ricordato il giudice, non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore ha cessato d’esercitare il potere di fatto sulla cosa ”nomine alieno” ed ha iniziato ad esercitarlo esclusivamente nomine proprio ed, inoltre, manifestazione siffatta dev’essere non solo tale da palesare inequivocabilmente l’intenzione del soggetto di sostituire al precedente ”animus detinendi” un nuovo ”animus rem sibi habendi”, ma anche essere specificamente rivolta contro il possessore, in guisa che questi sia posto in condizione di rendersi conto dell’avvenuto mutamento, quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere della concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte del possessore stesso.

Tra tali atti, ove non accompagnati da altra manifestazione dotata degli indicati connotati dell’opposizione, non possono ricomprendersi nè quelli che si traducano in una inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, verificandosi in tal caso un’ordinaria ipotesi d’inadempimento contrattuale, nè quelli che si traducano in ordinari atti d’esercizio del possesso, verificandosi in tal caso una mera ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene.

Dopo aver precisato che: ”Solo il possessore, infatti, e non anche il detentore, può usucapire il bene (e godere delle azioni di manutenzione e di nunciazione: artt. 1170 e 1171 cod. civ.); mentre, al promissario acquirente va riconosciuta una detenzione qualificata, esercitata nel proprio interesse, ma alieno nomine; in assenza ”dell’animus possidenti”, escluso dalla consapevolezza che l’effetto traslativo non si è ancora prodotto”.

La sentenza n. 4863/2010 stabilisce i seguenti assolutamente condivisibili principi: ”In conclusione, anche in presenza del cosiddetto preliminare ad effetti anticipati – che pure ha, certo portata ben più pregnante del paradigmatico ”pactum de contraendo – è pur sempre il contratto definitivo, espressione di autonomia negoziale e non mero atto dovuto ”solvendi causa”, a produrre l’effetto traslativo reale: restando esclusa la scissione tra titulus e modus adquirendi (eventualmente, anche mediante atto non negoziale), che era propria del diritto romano ed è tuttora vigente in taluni ordinamenti moderni, come quello tedesco.

Entro questa cornice concettuale, la consegna della cosa e l’anticipato pagamento del prezzo non sono incompatibili, in ultima analisi, con la figura del preliminare, nè indice della natura definitiva della compravendita; quale che ne sia la giustificazione causale: se per clausola atipica, introduttiva di un’obbligazione aggiuntiva, o per collegamento negoziale (preliminare di compravendita, comodato e mutuo gratuito: in questo senso, Corte di Cassazione sez. un. 7930/2008, cit.)”.

La Suprema Corte ha quindi dichiarato erronea la precedente decisione della Corte d’Appello nella parte in cui aveva dichiarato l’acquisto per usucapione dei beni per cui è causa, in forza della prolungata detenzione dei medesimi da parte della promissaria acquirente e dei suoi eredi, cassandola e rinviandola ad altra Sezione della Corte d’Appello territoriale.

Fonte: Avv. Alessandro Re
Immobili & Proprietà, Ipsoa Editore

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