Il decennio cruciale per lo sviluppo e l’ambiente. È urgente agire subito per promuovere nucleare e rinnovabili, ridurre l’impatto dei combustibili fossili e sviluppare le tecnologie CCS. all’International Energy Agency (lEA) lancia un vero e proprio grido di allarme sulla necessità di accelerare al massimo la transizione energetica verso un sistema più sicuro e meno inquinante. Cioè basato su fonti alternative agli idrocarburi (rinnovabili e nucleare) e su tecnologie a zero emissioni di carbonio, come quelle di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS – Carbon Capture and Storage). Osserva l’IEA – il ritmo stupefacente dello sviluppo di Cina e India sta trasformando il sistema energetico globale, a causa tanto dell’incremento del loro fabbisogno energetico, quanto del peso crescente che stanno acquisendo nel commercio internazionale di materie prime energetiche. Lo sviluppo dei due giganti asiatici consente di migliorare la qualità della vita di miliardi di persone. È quindi una legittima aspirazione che il mondo deve favorire e integrare. Ma sono comunque allarmanti le conseguenze di una crescita incontrollata della domanda di energia, che peraltro non avviene solo in Cina e India, ma anche dei Paesi industrializzati e degli altri Paesi in via di sviluppo. Nel 2030 saremo ancora dipendenti dalle fonti fossili. Se non si riesce a modificare l’attuale trend – osserva l’IEA nello scenario tendenziale dell’Outlook 2007 – i consumi di energia primaria aumenteranno del 55% entro il 2030, dagli 11,4 miliardi di tep (tonnellate equivalenti di petrolio) del 2005 a 17,7 miliardi di tep. Il 74% della nuova domanda proverrà dai Paesi in via di sviluppo, con un buon 45% a carico solo di Cina e India. I maggiori consumi saranno coperti per l’84% dai combustibili fossili. Pertanto il petrolio vedrà ridurre la propria quota di copertura della domanda globale di energia (dal 35% attuale al 32%), ma resterà comunque il principale combustibile, a causa del forte incremento della domanda per autotrazione.La quota del carbone sui consumi globali salirà dall’attuale 25 al 28%. Un aumento apparentemente modesto, che tuttavia implica un incremento del 73% in termini di minerale utilizzato rispetto ad oggi.

Crescerà di poco anche la quota del gas (dal 21 al 22%), mentre diminuirà il peso di tutte le altre fonti, ad eccezione delle “nuove” fonti rinnovabili, il cui contributo resterà tuttavia marginale (geotermia, mini-idro, vento e sole passeranno dallo 0,5% del 2005 all’1,7% del 2030).
La domanda di energia elettrica è prevista raddoppiare, con una quota sul consumo di energia finale che passerà dall’attuale 17% al 22%. Per far fronte a questo sviluppo l’IEA stima che siano necessari investimenti di circa 22.000 miliardi di dollari in infrastrutture di generazione e distribuzione, con problemi rilevanti dal punto di vista finanziario. Complessivamente lo scenario tendenziale prevede un forte aumento della dipendenza dai Paesi OPEC, che nel 2030 copriranno il 52% dei fabbisogni globali di petrolio (contro il 42% attuale). «L’aumento della domanda mondiale di energia – avvisa l’IEA – costituisce una minaccia reale e sempre più grave per la sicurezza energetica del pianeta». Tanto più che «la domanda di petrolio e gas, come pure la dipendenza di tutti i Paesi importatori da un numero sempre più ristretto di Paesi esportatori, è prevista aumentare in tutti gli scenari» presentati dall’IEA. Cioè non solo nello scenario tendenziale, ma anche nello scenario alternativo, che tiene conto delle misure che i Governi di tutto il mondo stanno oggi elaborando per fronteggiare la duplice sfida energetica e ambientale. In particolare lo scenario alternativo prevede un maggior ricorso alle fonti rinnovabili, al nucleare, e alle tecnologie del carbone pulito, tra cui quelle di CCS.
Dal punto di vista ambientale i dati IEA non sono meno preoccupanti. Il crescente consumo di combustibili fossili farà aumentare le emissioni di gas serra – nello scenario tendenziale – del 57% tra il 2005 e il 2030. Ma lo scenario alternativo ipotizza che le emissioni di CO2 vengano stabilizzate solo intorno al 2020, il che porterebbe a minori emissioni del 19% rispetto allo scenario tendenziale per il 2030. Un notevole passo avanti, dunque, ma che corrisponde pur sempre a maggiori emissioni del 38% rispetto al 2005.
Prevedendo che la riduzione delle emissioni prosegua poi dopo il 2030, a lungo termine si arriverebbe – nella migliore delle ipotesi valutate dall’IEA – ad una stabilizzazione a circa 550 parti per milione (ppm) della concentrazione di CO2 equivalente in atmosfera. Cifra che secondo le stime dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) corrisponderebbe ad un aumento della temperatura media terrestre di 3 ºC.
Se si vuole contenere a non più di 2,4 °C l’aumento medio della temperatura globale (che è lo scenario più basso tra quelli ipotizzati dall’IPCC) occorre invece stabilizzare a 450 ppm la concentrazione di gas a effetto serra nell’atmosfera.
È possibile? Secondo l’IEA si, a condizione di agire in modo concordato e, soprattutto, con urgenza.
Come? Utilizzando in modo più razionale ed efficiente i combustibili fossili in tutti i settori (industria, edifici e trasporti), aumentando la quota di energia prodotta dal nucleare e dalle fonti rinnovabili, infine accelerando un uso diffuso delle tecnologie di CCS e gli sforzi di ricerca e sviluppo per rendere disponibili ed economiche le tecnologie più innovative.
Azioni tempestive e decise in tal senso – avverte l’IEA – sono ormai indispensabili. I prossimi dieci anni sono infatti cruciali per non perdere definitivamente l’opportunità di una transizione non traumatica verso un sistema energetico che preveda ridotte emissioni climalteranti, ma che consenta ugualmente uno sviluppo condiviso.

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