La Toscana ha bruciato tutte le altre regioni sul filo di lana nel varare una legge sugli ampliamenti volumetrici, in attuazione dell’ Intesa Stato – Regioni, non ancora pubblicata sul Bur. Tuttavia il dibattito ferve: le nuova legge è restrittiva e anzi inutile, perché di fatto consente incrementi volumetrici quando gli strumenti urbanistici già li prevedevano, o al contrario è una norma lassista e permissiva?

La tesi della Regione è complessa. Può riassumersi così: se gli strumenti urbanistici comunali consentivano già addizioni funzionali agli edifici, magari limitatissime, si potranno fare gli incrementi volumetrici fino al 20%. Solo nel caso, piuttosto raro, in cui i Comuni hanno voluto escludere ogni tipo di addizioni funzionali, soprattutto in certe zone protette, o per certi edifici, l’ incremento sarà impossibile.

L’ interpretazione può parere contorta, se ci si dimentica che l’ articolo della legge sul governo del territorio toscana (n. 1 / 2005), dà una definizione complessa di quali sono gli interventi di ristrutturazione edilizia. Tra l’ altro esso afferma che essi comprendono anche “le addizioni funzionali di nuovi elementi agli organismi edilizi esistenti, che non configurino nuovi organismi edilizi, ivi comprese le pertinenze”. Per intendersi, con addizioni, in questo caso, non si intendono solo i cosiddetti volumi tecnici (casotti caldaia e ascensore, tettoie agricole eccetera), ma anche gli ampliamenti di volume veri e propri (una nuova stanza, una sopraelevazione, un box, eccetera).

Insomma, i comuni avrebbero già potuto, nell’ ambito della propria autonomia, utilizzare lo strumento degli ampliamenti. Anche quando non lo hanno fatto, in genere si sono riservati la possibilità di cambiare idea, importando nei loro strumenti urbanistici la definizione di ristrutturazione edilizia prevista dalla legge toscana. In tal caso saranno costretti a consentire gli aumenti volumetrici. Quindi, secondo la Giunta, gli incrementi ci saranno (si parla addirittura del 40% del patrimonio edilizio coinvolto).

Sciolto questo nodo, si può affermare che la legge toscana recepisce abbastanza fedelmente il contenuto dell’ Intesa Stato – Regioni. Gli ampliamenti fino al 20% sono consentiti non solo per gli edifici mono e bifamiliari, ma anche per gli altri, purché con superficie utile lorda non superiore a 350 mq (e quindi fino a un massimo di 70 mq) e relativamente ad ogni unità immobiliare. Le demolizioni e ricostruzioni possono prevedere fino al 35% di superficie in più (il 15% per edifici con edifici a destinazione mista residenziale – commerciale, solo per la parte abitativa).

Le principali esclusioni riguardano i centri storici (zone A), gli edifici con vincolo storico – artistico o in zone di inedificabilità assoluta, parchi e riserve. Dall’ incremento vanno sottratte le superfici abusive, anche se in seguito regolarmente condonate. Vanno comunque rispettate le distanze legali tra costruzioni, le altezze massime dei fabbricati e le dotazioni di opere di urbanizzazione primaria (in zone isolate, occorre perlomeno l’ approvvigionamento di acqua potabile e le fognature).

Ma il principale requisito resta il risparmio energetico. In caso di ampliamenti, l’ indice di prestazione energetica delle volumetrie aggiunte deve essere migliore del 20% rispetto a quelli previsti per le nuove costruzioni dal 2010 in poi. In caso di demolizioni e ricostruzioni si pretende il 50% in più per tutto l’ edificio, e occorre anche puntare sul condizionamento estivo.

In compenso la nuova legge Toscana prevede che tutte queste misure siano valide per gli interventi per cui sia stata presentata una Dia entro fine 2010: quindi oltre i 18 mesi previsti dall’ Intesa con il Governo. Nella legge non si fa alcun cenno ai contributi di costruzione dovuti, alle norme antisismiche o alle autorizzazioni paesaggistiche: valgono in questo caso le altre norme vigenti.

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