L’inquilino non paga, la questione va “risolta” in fretta

di Redazione 1

Cassazione – Sentenza n. 12905/2007
Le condizioni per escludere i canoni non riscossi dalla base imponibile Irpef

Fino alla risoluzione del contratto di locazione, i relativi canoni concorrono a formare la base imponibile Irpef. E’ questo, in sintesi, il principio affermato dalla Suprema corte con la sentenza n. 12905 del 1° giugno 2007. In particolare, con la menzionata pronuncia, i giudici di legittimità hanno ribadito che “Il solo fatto dell’intervenuta risoluzione consensuale del contratto di locazione, unito alla circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilità anteriori alla risoluzione, non è idoneo, di per sé ad escludere che tali canoni concorrano a formare la base imponibile Irpef, (…) salvo che, e non è il caso di specie, non risulti l’inequivoca volontà delle parti di attribuire alla risoluzione stessa efficacia retroattiva”.

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento con il quale veniva accertato un reddito da fabbricato locato. L’atto era impugnato perché ritenuto illegittimo dal contribuente. In particolare, secondo i ricorrenti il contratto di locazione doveva intendersi risolto per inadempimento della conduttrice, così da doversi commisurare il reddito alla minor somma in effetti percepita.

La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso del contribuente. La Ctr, invece, riteneva corretto l’operato dell’ufficio, che aveva considerato risolto il contratto di locazione solo per effetto della ordinanza di convalida di sfratto.
Avverso tale sentenza, il contribuente proponeva ricorso per cassazione, ricorso che è stato, come accennato, rigettato dalla Suprema corte che ha confermato, pertanto, la legittimità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria.
La sentenza in esame è conforme all’orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione, sentenza n. 24444 del 18 novembre 2005) in merito al trattamento tributario dei canoni di locazione in caso di inadempimento da parte del conduttore dell’obbligazione di pagamento dei predetti canoni.

Com’è noto, ai fini delle imposte sui redditi, il reddito fondiario di un immobile locato è determinato secondo le modalità previste dall’articolo 37, comma 4-bis, del Tuir, in base al quale, qualora il canone risultante dal contratto di locazione, ridotto forfetariamente del 15 per cento, sia superiore al reddito medio ordinario (determinato mediante l’applicazione delle tariffe d’estimo, stabilite secondo le norme della legge catastale), il reddito è determinato in misura pari a quella del canone di locazione al netto di tale riduzione. I redditi derivanti da contratti di locazione di immobile a uso abitativo, ai sensi dell’articolo 26 del Tuir, “…se non sono percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore”.

Sotto il profilo civilistico, nel caso di inadempimento da parte del conduttore dell’obbligazione di corrispondere i canoni di locazione, il locatore può avvalersi della risoluzione del contratto prevista dall’articolo 1454(1) del Codice civile, ovvero delle ipotesi di risoluzione di diritto previste dagli articoli 1456(2) e 1457(3) Cc; può, inoltre, esercitare l’azione di convalida di sfratto.

Ciò posto, con la pronuncia in commento, la Suprema corte ha affermato che, ai fini delle imposte sui redditi, “il riferimento al canone di locazione non può operare altresì quando il locatore invoca l’inadempimento e la risoluzione anche prima della sentenza di risoluzione giudiziale, quando risulti in maniera certa che abbia scelto la via di risolvere il contratto”.
In altri termini, il contribuente deve dedurre in maniera puntuale di aver ritualmente invocato l’inadempimento e la risoluzione prima della sentenza di risoluzione giudiziale, facendo valere, ad esempio, l’operatività di una specifica clausola contrattuale. In mancanza, il canone di locazione relativo al contratto in essere concorre sempre a formare la base imponibile Irpef, salvo che le parti attribuiscano espressamente alla risoluzione del contratto efficacia retroattiva.

In proposito, la Corte ha precisato che, nell’ambito dei contratti di locazione, la risoluzione del contratto non ha effetto naturalmente retroattivo, giacché trattandosi di contratti a esecuzione continuata o periodica, l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite(4). Conseguentemente, non viene meno l’obbligo del pagamento del canone di locazione per il periodo, precedente alla risoluzione, durante il quale il conduttore ha goduto o avrebbe potuto godere della disponibilità dell’immobile. Per tale periodo, pertanto, il canone concorre a formare la base imponibile Irpef.

Le argomentazioni dei giudici di legittimità trovano fondamento, peraltro, nella richiamata sentenza della Corte costituzionale del 26 luglio 2000, n. 362, che aveva ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale delle norme del Tuir nella parte in cui prevedono “quale base imponibile, ai fini della tassazione del reddito fondiario di un immobile locato, l’importo del canone locativo convenuto in contratto, anziché il reddito medio ordinario desunto dalla rendita catastale, anche quando, a causa della morosità del conduttore, tale canone non sia stato effettivamente percepito”.
In particolare, la Consulta, con la richiamata pronuncia, ha precisato che “il riferimento al canone di locazione (anziché alla rendita catastale) potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico”. Conseguentemente, “La risoluzione del contratto impedisce di configurare il pagamento, effettivo o solo presunto, come effettuato a titolo di canone, cui possa essere commisurata la base imponibile ai fini delle imposte sul reddito”.

NOTE:
1) “Alla parte inadempiente l’altra può intimare per iscritto di adempiere in un congruo termine con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s’intenderà senz’altro risoluto. Il termine non può essere inferiore a quindici giorni, salvo diversa pattuizione delle parti o salvo che, per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine minore. Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto”.

2) “I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva”.

3) “Se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni In mancanza, il contratto s’intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione”.

4) Cfr l’articolo 1458 del Codice civile, secondo cui “La risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite. La risoluzione, anche se è stata espressamente pattuita, non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione”.

Antonino Iacono – Fiscooggi.it

Commenti (1)

  1. Come al solito ci rimette sempre il locatore, come dire il danno e la beffa.
    E poi si lamentano che gli immobili restano sfitti.

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